Una Biblioteca tra storia e scienza

Una Biblioteca tra storia e scienza
Sonia Cavirani

aib studi, vol. 55 n. 2 (maggio/agosto 2015), p. 283-293

La Biblioteca di Botanica dell’Università di Camerino è un buon esempio di come le biblioteche universitarie si siano formate, spesso anche in modo casuale, intorno a linee di ricerca scientifica e interessi di singoli docenti, per poi assumere nel tempo una connotazione più attenta alla didattica e alla costruzione di collezioni coerenti e complete, anche nel solco di una legislazione intervenuta dopo l’unità d’Italia a regolarne funzioni e caratteristiche, dato l’alto numero di tipologie bibliotecarie presenti nel paese. Il tema relativo alla natura peculiare delle biblioteche universitarie è stato ampiamente dibattuto nella letteratura scientifica, cui Desiderio Chilovi ha dato alla fine dell’800 un contributo fondamentale, individuando in esse un complemento indispensabile agli insegnamenti cattedratici.
Nel caso analizzato tutto nasce con la fondazione nel 1828 di un Orto botanico sotto le mura della città di Camerino, sede di Università sin dal 1327 con specifica autorizzazione a erogare lauree in varie materie. Secondo le intenzioni del suo ideatore Vincenzo Ottaviani, lo spazio verde doveva essere un complemento pratico all’insegnamento della Chimica e della Botanica, attivate dalla Facoltà di Medicina di cui egli era stato nominato professore di Patologia e Terapia generale (1). L’impianto dell’orto non era stata una cosa facile semplice per molteplici intoppi burocratici, ma alla fine si riuscì a ottenere per l’Università in enfiteusi un terreno situato presso il Palazzo ducale (2), che in pochi anni diventò un luogo molto amato anche dai semplici cittadini per le sue caratteristiche ornamentali e la piacevole collocazione.

In data 1 giugno 1834 il rettore in carica conte Tommaso Battibocca autorizzava il professore Ottaviani a fissare «due giorni della settimana nella corrente stagione d’estate per dare lezioni di pratica nell’Orto botanico, come saviamente mi dimostra, e nella stessa ora indicata dal sullodato di Lei foglio. Per la piena regolarità opinerei tutte le volte che Ella lo creda necessario di renderne avvisati gli studenti con cartello da affiggersi nelli giorni, che saranno destinati, alla porta di questo pubblico locale. Non mi rimane che lodare e commendare il di Lei zelo per il profitto della gioventù studiosa» (3). Al momento del suo trasferimento all’Università di Urbino, Ottaviani lasciò in dono all’Ateneo una buona parte della sua vasta biblioteca personale, in cui erano presenti testi micologici e manuali pratici di agricoltura, tema questo a lui molto caro, tanto da avervi dedicato molte ore straordinarie di lezione (4). Successore come prefetto dell’Orto sarebbe stato Mariano Gajani, professore di Chimica farmaceutica, di Materia medica e di Botanica nell’anno accademico 1848-1849 della pontificia Università di Camerino. Espulso nel 1850 dall’Università perché aveva aderito alla Repubblica romana assumendo anche incarichi pubblici di rilievo, e per questo motivo mai più reintegrato nei ranghi accademici se non forse dopo l’Unità d’Italia (5), Gajani aveva avuto certamente un ruolo meno significativo del suo predecessore nel campo della Botanica (6), pur avendo pubblicato nel 1849 la Enumeratio plantarum in horto botanico athaenei camertis existentium (7), completa e scientificamente corretta. Saranno i prefetti successivi ad ampliare l’Orto botanico e ad arricchire le collezioni bibliografiche, prima vera base della futura Biblioteca di Botanica, che sarà potenziata a partire dal 1890 soprattutto dal prefetto dell’Orto professore Augusto Berlese, in una costante politica di acquisti per il Gabinetto, termine in quell’epoca spesso utilizzato per identificare gli istituti scientifici in cui era prevista attività sperimentale (8).
Nel 1895 risultavano in abbonamento molti periodici stranieri, soprattutto tedeschi e inglesi, a dimostrare una grande apertura verso la ricerca internazionale e una sicura attenzione alle novità originate dalla teoria evolutiva di Charles Darwin, testimoniata dalla presenza in biblioteca delle opere che più avevano modificato l’approccio alla Botanica sistematica come Die naturlichen Pflanzenfamiliens nebst ihren Gattungen di Engler e Prantl (9), o la rivista Deutsche botanische Monatsschrift: l’una testo fondamentale più volte ristampato e usato per decenni nelle Università europee, l’altra un periodico prestigioso e autorevole, pur destinato a chiudere nel 1912 per sopravvenute difficoltà economiche. Non mancavano naturalmente le riviste italiane più importanti, con un’attenzione particolare a quante trattassero di agricoltura, dimostrando dunque come l’Università volesse stabilire un filo diretto con il territorio e la sua economia, interamente agricola, indirizzata prevalentemente alla produzione di frumenti e di vino. Ecco dunque che entrano in biblioteca strumenti d’informazione molto pratici e utili all’organizzazione di corsi di formazione professionale, come L’orticultura e l’agricoltura pratica, L’eco dei campi e dei boschi, il Giornale di viticoltura e di enologia, La settimana vinicola, Agricoltura italiana. Data l’importanza dell’Economia agraria sviluppatasi in Francia, non mancavano titoli di tale nazione, come la Revue internationale de viticulture et d’oenologie, periodico dedicato alle patologie della vite, e la Revue de viticulture, organo ufficiale dei produttori francesi di vino. Non meno importante era l’interesse scientifico per la Micologia, ormai distinta dalla Botanica pura e settore in cui primeggiavano gli studiosi francesi: in biblioteca infatti venivano acquistati i periodici Bulletin de la Société mycologique de France e la Revue mycologique.
È in questo contesto culturale dinamico e aperto alle novità che il genetista e agronomo Nazareno Strampelli iniziava i suoi esperimenti di ibridazione dei cereali, che avrebbero condotto all’aumento della produzione di grano in tutto il mondo e alla lotta mirata ai parassiti che infestavano i vari tipi di frumento, con soluzioni ancora oggi attuali e valide.
I timbri inventariali apposti sui volumi fanno risalire formalmente la nascita della Biblioteca al 1828, data in cui entravano nelle collezioni i primi esemplari, tra cui i recenti
Nouveaux éléments et de physiologie végétale del botanico francese Achille Richard e i tre tomi delle Istituzioni Botaniche (10) di Ottaviano Targioni Tozzetti.

Quest’ultimo sarebbe stato direttore del Giardino dei Semplici di Firenze e ad interim dell’Orto agrario dell’Accademia dei Georgofili, ma anche prefetto della Biblioteca Magliabechiana, nonché padre di Antonio Targioni Tozzetti, futuro marito di quella Fanny che avrebbe ispirato l’Aspasia di Leopardi e dominato i salotti letterari di Firenze. Botanico e medico come il padre, Antonio Targioni Tozzetti sarebbe divenuto anch’egli nel 1826 direttore del Giardino dei semplici, ora Orto botanico del Museo di storia naturale dell’Università di Firenze. L’interesse scientifico verso le esperienze toscane andava sempre più aumentando perché era proprio a Firenze, luogo già di grande tradizione scientifica (11), che il botanico palermitano Filippo Parlatore avrebbe portato innovazione e nuovi progetti, tra cui l’utilizzo degli erbari a scopo scientifico e didattico, fondando infatti nel 1845 l’Erbario centrale italiano, primo grande esempio di raccolta di exsiccata (12) sul suolo nazionale. Tra i libri acquistati negli anni seguenti, spicca per particolare interesse la Botanique cryotogamique ou histoire des familles naturelles des plantes inférieures, pubblicato nel 1850 da Jean-Baptiste Payer, botanico con una forte passione politica, che lo portò a partecipare ai moti del 1848. Estromesso nel 1850 Mariano Gajani dalla direzione dell’Orto botanico di Camerino a causa di fatti analoghi, subentrava dunque Agostino Reali, rimanendo in tale carica fino al 1882, periodo a lungo critico e turbolento per l’Università, che dopo l’unità d’Italia era passata dall’essere una istituzione pontificia allo status di Università libera. Già classificata tra le istituzioni secondarie secondo la bolla Quod divina sapientia del 1824 con modifiche del 1826, mentre erano primarie quelle di Roma e Bologna, l’Università di Camerino subì la riorganizzazione del sistema universitario italiano che prevedeva modifiche sostanziali al panorama educativo nazionale fino ad allora piuttosto variegato e confuso. Le Università coinvolte ed etichettate come libere furono le quattro dello Stato pontificio: Urbino, Ferrara, Perugia, Camerino.
Già subordinate alle due Università primarie di Roma e Bologna, quelle secondarie erano materialmente deboli; il finanziamento proveniva principalmente dalle tasse universitarie e dalla gestione di quella parte dei beni che era stata recuperata dopo il periodo napoleonico, con occasionali e piuttosto radi interventi del governo pontificio, ma con l’apporto determinante degli enti locali, che furono loro malgrado investiti di un primario compito di salvaguardia nel momento di passaggio verso la riorganizzazione unitaria.
Nel gennaio del 1861, quando i provvedimenti governativi riguardavano ormai anche Camerino, il ministro Mamiani richiese ai comuni e alle autorità accademiche interessate di predisporre gli statuti degli atenei che poi avrebbero dovuto essere approvati dal Ministero: dal punto di vista economico, le amministrazioni locali avrebbero dovuto sostenere finanziariamente le rispettive Università cittadine, rimanendo al governo poteri ispettivi e di controllo (13).
Pur tra mille difficoltà generali, superate in parte dall’energica azione di un’apposita deputazione nominata dal Comune e approvata dal Ministero dell’istruzione pubblica, Agostino Reali riuscì a potenziare la Biblioteca di Botanica, ormai autonoma rispetto alla Biblioteca Valentiniana, istituzione comunale aggregata all’Università, dotata di fondi cospicui e decisamente moderna nei servizi (14), di cui il rettore Gallerani segnalava la caratteristica di essere «ben provvista di libri; ma siccome nessuna biblioteca basta, in qualunque momento, alle esigenze tutte di una Università, è necessario lo scambio incessante e completo, non gravato da spese, con tutte le altre del Regno, anche perché il diritto alla cultura è di tutti e tanto più di coloro che offrono un contributo scientifico che s’impone per qualità e quantità. Attualmente si hanno, per mezzo della Biblioteca di Pavia, tutti i libri richiesti, e si gode dell’esenzione dalle tasse postali per ciò che la Biblioteca di Camerino riceve dalle Biblioteche governative [...]» (15).
La questione dell’importanza di avere biblioteche universitarie di buon livello è testimoniata dall’emanazione di un decreto regio del 1885 che aveva tentato di dare unità ai servizi delle biblioteche pubbliche e previsto che le raccolte acquisite dalle Università afferissero alle biblioteche universitarie, senza tuttavia risolvere le difficoltà degli studiosi, che non riuscivano ad avere documenti e materiali sufficienti, pena l’acquisto personale con gravi sacrifici economici o l’utilizzo di quanto conservato nelle piccole raccolte scientifiche di gabinetti o musei. In linea con ciò che stava succedendo in tutte le Università italiane, anche gli altri gabinetti dell’Università di Camerino (16) erano dotati di biblioteche specialistiche, ma sicuramente di consistenza inferiore alla Biblioteca di Botanica, che continuava nella sua politica di costante espansione.
Dopo le direzioni di Agostino Reali e di Ranieri Reali, dal 1895 subentrava Augusto Napoleone Berlese, prolifico botanico ed esperto micologo, ma soprattutto iniziatore di un percorso di studi scientifico-accademici e di approccio metodologico, innovativo a livello nazionale, tutto improntato alla fitopatologia (17), veicolo di fruttuosi contatti con studiosi francesi e tedeschi.
Risale a questo periodo l’acquisizione in Biblioteca del Compendio della flora italiana, ossia manuale per la determinazione delle piante che trovansi selvatiche od inselvatichite nell’Italia e nelle isole adiacenti (18) di Giovanni Arcangeli, botanico della Scuola fiorentina, direttore dell’Orto di Pisa, il più antico degli orti botanici italiani, nonché varie volte presidente della Società Botanica Italiana.
L’opera fu molto apprezzata dai cultori di floristica per la chiarezza delle diagnosi e a Camerino divenne uno strumento quotidiano per la didattica nei corsi di agronomia e per la pratica nell’Orto botanico, accompagnando in seguito l’utilizzo della Guida botanica, ossia chiavi analitiche per determinare le piante spontanee che vivono principalmente nell’Italia media, pubblicata nel 1907 da Eugenio Baroni, futuro direttore dell’Orto botanico di Ferrara.
Veniva in seguito acquistata un’opera imponente come il Compendio della flora italiana a cura di Vincenzo Cesati, Giovanni Passerini e Giuseppe Gibelli: 35 fascicoli pubblicati a partire dal 1867, che rappresentano in sostanza la prima flora unitaria italiana (19).
Gli autori trattano una flora analitica, organizzata cioè per chiavi specifiche con l’obiettivo di consentire la determinazione delle specie e l’opera comprende anche tavole con i dettagli delle singole entità, utili anch’essi al riconoscimento e quindi funzionali alla didattica.
Da un punto di vista non scientifico, è molto interessante la breve presentazione «ai benevoli lettori», in cui si accenna al mutato clima politico successivo all’unità d’Italia; l’opera infatti era stata concepita dai suoi autori nell’ambito del convegno dei naturalisti svoltosi a Biella nel 1864, in cui «naturalisti di tutte le parti d’Italia festosamente accorrevano per scambiarsi cordiali strette di mano e liberi pensieri, la prima volta dopo l’animoso Congresso di Venezia» (20), seguendo l’esempio di analoghe opere pubblicate da botanici di altri paesi. Rilevante era l’impegno unitario dei botanici italiani e la volontà di aprirsi alle esperienze straniere dopo tanti anni di turbolenze politiche e divisioni interne (21), così come si volevano gettare le basi per opere che in ogni campo scientifico comprendessero la totalità nazionale.
Gli anni di Berlese come direttore dell’Orto botanico di Camerino vedevano dunque un’unità già compiuta e il predominio del positivismo nella visione della scienza, con un’accettazione quasi totale delle teorie darwiniane: ecco dunque l’acquisizione di opere come quelle del naturalista e zoologo Giovanni Canestrini, irredentista trentino e grande divulgatore in Italia dell’evoluzione nell’interpretazione di Darwin, di cui tuttavia non condivideva totalmente tutti gli aspetti metodologici.
Tra gli scritti di Canestrini, quella più nota era proprio La teoria dell’evoluzione esposta ne’ suoi fondamenti come introduzione alla lettura delle opere del Darwin e de’ suoi seguaci, di cui la Biblioteca acquistava la seconda edizione del 1887 (22) e per approfondire il pensiero darwiniano dal punto di vista botanico-zoologico si acquisiva un’opera del 1875, ma tradotta proprio dal Canestrini nel 1878, come Le piante insettivore (23), opera che faceva seguito a due articoli pubblicati da Darwin nel 1874 e che costituivano il risultato finale di sedici anni di ricerche e sperimentazioni.
In essa venivano trattati gli adattamenti di queste piante ad ambienti privi di sostanze nutrienti al fine della sopravvivenza e, pur non aggiungendo niente di sostanziale alle teorie dell’evoluzionismo, si dimostrò rivoluzionario l’aver dimostrato che la digestione delle sostanze organiche per mezzo di succhi prodotti da individui viventi non apparteneva soltanto a organismi animali.
Nel solco darwiniano si andavano a inserire le opere dello studioso tedesco Eduard Strasburger, di cui la Biblioteca acquisì non solo in traduzione francese il Manuel technique d’anatomie vègetale: guide pour l’étude de la botanique microscopique, pubblicato nel 1886, ma anche altri lavori in lingua originale dedicati alla embriologia e alla citologia delle piante.
Non poteva mancare in biblioteca la Flora marchigiana di Luigi Paolucci, pubblicata a Pesaro nel 1891 e frutto di uno studio approfondito del pensiero di Darwin e di Linneo: Paolucci, veterinario di formazione, aveva avuto anche una breve corrispondenza con lo scienziato inglese intorno al canto degli uccelli e per la sua competenza fu nominato direttore del Museo regionale marchigiano di storia naturale, ampliandone le collezioni e raccogliendo l’Erbario delle Marche.
Nello sviluppo delle collezioni della Biblioteca era inoltre indispensabile che fosse presente qualche opera del botanico svizzero Alfonso De Candolle, il cui L’origine delle piante coltivate (24), un modello insuperabile per ricchezza di dati e capacità di ricostruzione storica, anche se ormai scientificamente poco utilizzabile, inaugurava per l’Istituto di Botanica di Camerino e la sua Biblioteca una linea di ricerca dedicata alla floricultura teorica e pratica, di cui il Manuale di floricultura dei fratelli Roda, giardinieri reali piemontesi di grande esperienza e influenza, costituiva uno strumento fondamentale.
Per i seminari dedicati agli studenti veniva curiosamente utilizzata anche la prima edizione della Flora alpina tascabile per i touristi (25), del naturalista e botanico svizzero Henry Correvon, appassionato fondatore di orti botanici che avevano anche obiettivi turistico-economici: il volume era corredato di splendide tavole a colori, con appendice di termini scientifici e indici dei nomi tedeschi, francesi, italiani e latini.
Ben più impegnativo era l’utilizzo nei corsi dell’Iconographia florae italicae ossia flora italiana illustrata (26), pubblicata inpiù parti dal 1895 al 1904 a cura di Adriano Fiori e Giulio Paoletti, opera monumentale che insieme alla immediatamente successiva Flora analitica d’Italia (27) ponderoso trattato encomiato dalla reale Accademia dei Lincei, costituisce il primo passo verso la Botanica forestale italiana, disciplina che l’Università di Camerino avrebbe sviluppato sempre di più nel corso del ‘900 a partire dall’iniziale interesse per la flora dei vicini Monti Sibillini e dei territori circostanti (28).
Dopo la direzione di Berlese, si susseguirono molti curatori dell’Orto botanico, e tra questi fu Domenico Filippi, in carica dal 1905 al 1923, a imprimere alla Biblioteca un netto orientamento alla farmacopea e alle raccolte di opere dedicate alla farmacologia, nello spirito di una interdisciplinarietà che rispondesse alle esigenze di una moderna Scuola di Farmacia, dopo poco tempo regolata da un nuovo regio decreto del 30 novembre 1924, in cui si ribadiva il riconoscimento dell’Università di Camerino come Università libera (29) e si cominciavano ad addensare nubi sulla secolare Facoltà di medicina.
Si arricchivano dunque le collezioni con opere che potessero essere utilizzate anche nei corsi di Chimica e di Chimica farmaceutica, come il Codice per il riconoscimento ed il controllo delle piante medicinali di Adriano Valenti, la Chimica farmaceutica e tossicologia dei corpi minerali, di Dioscoride Vitali, grande sperimentatore e inventore di tecniche farmaceutiche, la Chimica delle piante di Marco Soave, agronomo e chimico dalla imponente produzione bibliografica, la rivista Ambix, pubblicata dalla inglese Society for the Study of Alchemy and Early Chemistry.
Accanto a queste pubblicazioni non potevano mancare le grandi opere tedesche, frutto della ricerca chimica che aveva avuto un grande impulso in quella Germania di fine secolo che stava da tempo dominando il mondo della scienza applicata: ecco dunque l’acquisto del Beilsteins Handbuch der organischen Chemie, grande e insostituibile repertorio bibliografico che sarebbe divenuto negli anni ’90 uno dei primi data base online e utilizzante la lingua inglese, divenuta ormai lo strumento prevalentemente utilizzato nella comunicazione scientifica. Il Beilstein venne descritto da Primo Levi, chimico di professione, come «una monumentale enciclopedia continuamente aggiornata in cui, come in un’anagrafe, viene descritto via via ogni nuovo composto, insieme con i suoi metodi di preparazione» (30), ma il repertorio venne sostituito per autorevolezza e completezza dal Chemical abstracts, oggi disponibile solo in versione online attraverso il sistema SciFinder.
Nel ritorno a quella interdisciplinarietà che aveva caratterizzato l’insegnamento delle scienze naturali già nel periodo di Vincenzo Ottaviani e sull’onda del cambiamento della situazione statutaria dell’Università di Camerino, che dopo molte traversie burocratiche e cessioni di Facoltà ad altre Università a causa di nuovi decreti del Ministero della pubblica istruzione, vide nel 1957 il suo passaggio definitivo da Università libera a Università pubblica, la ricerca perseguita nell’Istituto di Botanica avrebbe seguito costantemente l’evolversi in atto nella società e nel mondo scientifico, approdando a tematiche oggi attuali e consolidate, come l’ecologia e la sostenibilità ambientale e la Biblioteca avrebbe di conseguenza ampliato le sue collezioni, svolgendo la funzione propria delle biblioteche universitarie che è quella di supportare la didattica, la ricerca e la comunicazione scientifica.
Tale funzione è chiara e certamente non secondaria, anche se spesso è stata ostacolata dalla difficoltà del sistema universitario italiano nel riconoscere il bisogno di biblioteche forti, organizzate e centrali anche dal punto di vista logistico, senza dimenticare il monito del già citato Desiderio Chilovi, lucido analista delle biblioteche universitarie italiane, di cui smontava la struttura ovunque comune e individuava severamente le molte criticità, non ultima la cronica difficoltà economica di supportare docenti e studenti nella pratica quotidiana.
L’inversione di rotta è riconducibile agli anni ’90 del secolo scorso, quando le esigenze pressanti dell’automazione e del progresso tecnologico e quantitativo dell’informazione hanno costretto le Università e le loro biblioteche a una diversa organizzazione, formale e sostanziale al tempo stesso, pur tra difficoltà burocratiche, resistenze conservatrici, ritardi organizzativi, carenze nella formazione, scarsa internazionalizzazione. La strada sembra dunque avviata e le biblioteche sicuramente hanno conquistato una riconoscibilità maggiore, soprattutto per merito dei bibliotecari, oggi più coscienti del proprio ruolo fondamentale nel sistema della conoscenza.

Note

  1. Si legge nell’epistolario di Vincenzo Ottaviani in una lettera inviata al Gonfaloniere della città: «In seguito dell’invito fattomi da v. s. illustrissima sono stato a visitare i locali che debbono servire ad uso di scuola chimica e di orto botanico di questa insigne Università degli studj [...] il quale orto provveduto del suo custode unitamente all’elaboratorio chimico spero che da v. s., dietro il benigno consenso di sua eccellenza reverendissima mons. Arcivescovo, mi sarà consegnato al cominciare del nuovo anno scolastico; giacché in caso diverso non potrei insegnare con profitto né la chimica né la botanica», in Lucia Cardona, L’epistolario di Vincenzo Ottaviani, fondatore dell’orto botanico di Camerino. Camerino: Università degli studi, 1996, p. 11.
  2. Nell’organizzazione amministrativa dei territori facenti parte dello Stato della Chiesa, la procedura burocratica prevedeva che il gonfaloniere, autorità civile scelta tra le famiglie nobili del territorio, scrivesse una specifica richiesta al tesoriere generale, principale consigliere del governatore. La lettera in questione fa riferimento specifico alla Bolla papale Quod divina sapientia del 1824 con la quale il pontefice Leone XII aveva ripristinato le università dopo la soppressione napoleonica. L’Università di Camerino, nata nel 1336 con un Breve apostolico di Benedetto XII, era stata rifondata nel 1727 con un Breve apostolico di Benedetto XIII; dopo il breve periodo napoleonico che vide una fugace riorganizzazione generale dell’istruzione, il papa Pio VII, con rescritto del 30 settembre 1816, accordò una riapertura provvisoria per tutelare idiritti della città di Camerino e per iniziare un nuovo corso dell’istruzione universitaria nello Stato della Chiesa, fino alla Bolla citata.
  3. L. Cardona, L’epistolario di Vincenzo Ottaviani, fondatore dell’orto botanico di Camerino cit., p. 16.
  4. Da una circolare del rettore Tommaso Battibocca: «Il professore di chimica e botanica di questa Università, cedendo al desiderio di alcuni suoi allievi, che aspirano ad esercitare la professione di periti agronomi, darà coi dovuti permessi verso la fine del corrente anno scolastico cinque pubbliche lezioni oltre all’ordinario, sopra l’applicazione della suddetta scienza all’agricoltura». Ivi, p.17.
  5. Altri docenti degli atenei presenti nelle Marche erano stati espulsi, tra cui i due botanici dell’Università di Macerata Patrizio Gennari e Filippo Narducci, ma poi questi erano stati reintegrati in breve tempo; il Gajani, dopo aver lavorato per molti anni come medico fiscale del Tribunale di Camerino, istituito nel 1816, cita se stesso come emerito della Università libera di Camerino nel volume VIII (18651866) della Rivista farmaceutica da lui fondata nel 1857, lasciando intendere che dopo l’annessione delle Marche al Regno d’Italia fosse stato riabilitato.
  6. Trasferitosi nell’Università di Urbino nel 1841, Ottaviani aveva saputo da colleghi che il suo posto di prefetto era stato offerto a uno sconosciuto docente che secondo molti non aveva capacità scientifiche a lui paragonabili. In una lettera al professor Leopardo Betti datata da Urbino 4 dicembre 1841 si sfogava così: «In Bologna e professori e scolari ridono per l’elezione di un chirurgo divenuto chimico e botanico. So che si ride egualmente in Perugia ed in Macerata [...]; mi rallegro con cotesti bravi esaminatori e colla città di Camerino, perché mi hanno dato un eccellente successore di botanica e di chimica. Io non credeva mai che la sfacciataggine sarebbe giunta a tale segno che un uomo il quale non ha minimamente studiata la botanica e forse non conosce neppur l’urtica, avesse il coraggio di voler insegnare una scienza, di cui non sa i primi principi», in L. Cardona, L’epistolario di Vincenzo Ottaviani, fondatore dell’orto botanico di Camerino cit., p.57. L’ira di Ottaviani non finì molto presto, infatti in una lettera datata da Senigallia il 2 agosto 1842, egli affermava: «[...] io faticai moltissimo per fondare un discreto orto botanico, il quale ora da essi è stato consegnato ad uno sfacciato ignorante», in Franco Pedrotti, Mariano Gajani e l’Orto botanico di Camerino. Camerino: Università degli studi, 1995, p. 10.
  7. La Enumeratio è un opuscolo di 12 pagine che riporta in ordine alfabetico tutte le piante presenti nell’Orto botanico, con il nome scientifico latino, ma senza autori; si tratta del secondo documento del genere compilato dalla fondazione dell’Orto e contempla alcune specie oggi estinte nelle Marche, costituendo così uno strumento molto utile per i botanici odierni che vogliano ricostruire una mappa botanica del territorio.
  8. Nel periodo del positivismo le scienze sono considerate il fondamento di ogni conoscenza ed è in questo periodo che si sviluppano ulteriormente gabinetti scientifici che raccolgono materiali e documenti, originando così molti musei moderni che espongono strumentazioni e oggetti particolari; nel caso della Biblioteca dell’Orto ritroviamo minute di appunti, lettere, fiori essiccati, piume di uccelli esotici, francobolli, ritagli cartacei con note ai testi, filigrane, ricette, segnalibri: questi materiali non sono stati trasferiti al Museo di scienze, ma sono rimasti nella Biblioteca stessa. Antesignani dei moderni laboratori e affermatisi inizialmente con l’illuminismo della fine del 1700, i gabinetti scientifici sono eredi dei locali medioevali dove gli alchimisti, gli speziali e gli studiosi di scienze naturali sperimentavano e collezionavano oggetti di varia natura per studiarli con l’osservazione diretta.
  9. Secondo gli esperti l’opera è uno dei pochi lavori dettagliati, oltre a quelli di Linneo, che cercano di classificare tutte le piante esistenti in natura. Adolf Engler fu uno dei più importanti botanici vissuti tra ‘800 e ‘900 e diresse l’Orto botanico di Berlino dal 1889 al 1921. Karl Prantl fu una vera autorità in tema di piante crittogame; nel 1885 entrava in biblioteca la traduzione italiana della quinta edizione del suo Manuale di botanica, tradotto da Giuseppe Cuboni, pioniere degli studi sulla patologia vegetale e grande conoscitore delle teorie di Mendel, tanto da sostenere gli esperimenti di ibridazione del suo allievo Nazareno Strampelli e la necessità di nuove specie vegetali.
  10. I Nouveaux éléments furono pubblicati nel 1819 a uso degli studenti di medicina ed ebbero un grande successo con traduzioni in molte lingue e varie edizioni. L’opera del Targioni Tozzetti fu pubblicata a Firenze da Guglielmo Piatti nel 1813; l’esemplare in possesso della Biblioteca di botanica è di bell’aspetto, composto con carta fatta a mano di buona fattura, con coperte cartonate di pregio e dorso in pelle e ancora oggi costituisce il pezzo più interessante della sezione denominata Antiqua, in cui sono raccolte le pubblicazioni precedenti il 1900, spesso illustrate egregiamente.
  11. Agli inizi del ‘700 il botanico Pier Antonio Micheli rese il Giardino dei Semplici un centro di studio e ricerca botanica di rilevanza internazionale. Fondò nel 1716 la Società botanica italiana e fu chiamato da Cosimo III a dirigere l’Orto botanico. Alla morte del Micheli, avvenuta nel 1737, gli successe Giovanni Targioni Tozzetti e quindi Saverio Manetti, autore del primo Index seminum. Passato all’Accademia dei Georgofili nel 1783 dopo la soppressione della Società botanica, il giardino fu trasformato in Orto sperimentale agrario e ridisegnato radicalmente dall’abate Leonardo Frati, divenendo nuovamente Giardino dei Semplici nel 1847, sotto la direzione di Antonio Targioni Tozzetti. Alla fine del secolo passò al regio Istituto di studi superiori, poi Università degli studi di Firenze.
  12. Tecnicamente gli exsiccata sono fogli su cui piante o loro parti sono montate e classificate, formando nel loro insieme un erbario a scopo di studio e di didattica.
  13. Scriveva il rettore Giovanni Gallerani: «Il Comune di Camerino doveva compilare lo Statuto universitario da approvarsi poi dal Ministero. Lo Statuto venne compilato e quindi approvato dal Ministro con dispaccio del 21 marzo 1862: questo Statuto è ancora in vigore». In Giovanni Gallerani, La libera Università di Camerino e i suoi istituti scientifici, Camerino: Tipografia Savini, 1895, p. 12.
  14. La Biblioteca comunale Valentiniana aveva funzioni di biblioteca centrale ed era nata alla fine del ‘700 per volere di Sebastiano Valentini, uno studioso locale che, morto nel 1802, aveva lasciato in eredità alla città la propria collezione privata e disposto un lascito per lo sviluppo futuro della nascente biblioteca. Nel testamento del Valentini, datato 8 febbraio 1802, si doveva costituire una congregazione amministratrice, di cui avrebbero fatto parte il sindaco cittadino e il rettore dell’Università, nonché varie figure tecniche tra bibliotecari e segretari. Molto importante per le sue attribuzioni decisionali era l’annessa commissione per gli acquisti di libri, di cui fino agli anni ‘20 non fece parte il direttore della biblioteca. La dotazione iniziale fu di 8290 volumi e le risorse economiche utilizzate in modo difforme da quanto previsto nel lascito testamentario; furono facoltosi cittadini e soprattutto il decreto del r. Commissario delle Marche del 1860, che destinava alle biblioteche pubbliche le collezioni delle corporazioni religiose soppresse, a salvare il futuro della Biblioteca Valentiniana. Dotata di ampie e ben arredate sale di deposito e di lettura, di cataloghi alfabetici e per soggetto, in volumi e a schede, era regolamentata da un protocollo che disciplinava l’apertura quotidiana; le norme riflettevano il funzionamento dell’anno accademico e l’apertura era estesa anche alle ore serali nel periodo invernale, prassi tesa ad agevolare docenti e studenti fuori sede che frequentavano l’Università. È interessante segnalare che già dalla metà dell’800 si registravano accuratamente i dati relativi ai prestiti, a scopo statistico e documentale e in allegato alle relazioni rettorali annuali.
  15. G. Gallerani, La libera Università di Camerino e i suoi istituti scientifici cit., p. XXV-XXVI. Gallerani non manca tuttavia di lamentare che non era prevista franchigia postale per le spedizioni di ritorno e chiede un decreto speciale che reiteri precedenti esenzioni, sostenendo l’importanza della propria Università per lo sviluppo della cultura nazionale.
  16. Nel 1890 erano attivi il Gabinetto di fisica, istituito nel 1827, il Gabinetto e laboratorio di chimica, presente dal 1828, il Gabinetto di anatomia, iniziato nel 1864, e tutti gli Istituti relativi alla Facoltà di medicina, poi soppressa nel 1926 nell’ambito di una riorganizzazione ministeriale dei corsi di laurea in Italia. Le raccolte bibliografiche ivi custodite avrebbero dato origine a varie biblioteche specialistiche, secondo quella tradizione italiana, che avrebbe impedito per tanto tempo lo sviluppo delle biblioteche universitarie centralizzate del modello statunitense, che vede nella biblioteca il cuore pulsante di una istituzione. L’uso italiano sarebbe stato causa di molti disservizi e disagi organizzativi, aggravati da una persistente mancanza di professionalità specifica, come evidenziato anche da bibliotecari stranieri, tra i quali spicca Robert Vosper, che nel 1961 avrebbe pubblicato il saggio A recent look of universities libraries in Italy, dove giudicava severamente il sistema italiano, soprattutto se confrontato con quello anglo-americano.
  17. Nel 1892 fondò con il fratello la Rivista di patologia vegetale, primo periodico italiano del settore e nel 1894 pubblicò per i tipi di Vallardi l’opera I parassiti vegetali delle piante coltivate o utili, uno dei primi trattati italiani di patologia vegetale. Il suo interesse scientifico per i funghi lo indusse a pubblicare la serie, non completata per la sua morte precoce, delle Icones fungorum, opera preziosa per le tavole illustrate dallo stesso Berlese, che rappresentano i micromiceti in ogni sua forma. Berlese era stato allievo di Pier Andrea Saccardo, il maggior micologo del suo tempo, al fianco del quale rimase fino al 1889, pubblicando in questo periodo un’ampia monografia sugli ascomiceti dal titolo Pleo spora, Clathrospora e Pyrenophora, il Catalogo dei funghi italiani e i Fungi moricolae. Il suo interesse per lo studio dei funghi non si era limitato alle opere di biologia e di sistematica micologica, ma si era esteso agli aspetti applicativi, che comprendevano i funghi parassiti della vite, la fitopatologia e la lotta contro le malattie delle piante. Ciò gli valse la nomina a membro della Internationalen phytopathologische Commission, con sede a Berlino.
  18. Edito a Torino da Loescher nel 1882; seguì una seconda edizione nel 1884, prontamente esaurita in poco tempo. Opera compilata sul prodromo candolleano, è stata uno strumento fondamentale per generazioni di studiosi nella determinazione delle piante spontanee italiane.
  19. Edito a Milano da Vallardi in fascicoli dal 1867 al 1901; si presenta in 2 volumi, di cui il secondo comprende solo indici e tavole illustrate.
  20. Si fa riferimento al 9° “Congresso degli scienziati italiani”, tenuto a Venezia nel settembre 1847 e chiusosi tra espulsioni, tumulti e arresti da parte della polizia austro-ungarica.
  21. In sintesi, si veda <https://mostre.museogalileo.it/congressiscienziati/intro.html>. Il tema è affrontato anche da Paola Zocchi in una ricerca condotta nell’ambito del progetto Nascita di una comunità poliscientifica: istituzioni, attori e ideali di un secolo di cultura scientifica a Milano, 1863-1963. Per una panoramica sul rapporto tra scienza e passione politica si vedano i risultati di tale ricerca in <http://www.academia.edu/6093355/Natura_e_patria._I_congressi_della_Società_italiana_di_scienze_naturali_nel_processo_di_costruzione_dell_identità_nazionale>.
  22. Giovanni Canestrini, La teoria dell’evoluzione esposta ne’ suoi fondamenti come introduzione alla lettura delle opere del Darwin e de’ suoi seguaci. Torino: Unione tipografico-editrice, 1887.
  23. Charles Darwin, Le piante insettivore, traduzione italiana col consenso dell’autore per cura di Giovanni Canestrini. Torino: Unione tipografico-editrice, 1878. Titolo originale: The insectivorous plants.
  24. Alfonso De Candolle, L’origine delle piante coltivate. Milano: Dumolard, 1883. Titolo originale: Origine des plantes cultivées. De Candolle realizzò con il padre Augustin l’opera Prodromus systematis naturalis, alla base del sistema di indicizzazione già citato nella nota 18, ed elaborò le norme internazionali di nomenclatura botanica.
  25. Henry Correvon, Flora alpina tascabile per i touristi: nelle montagne dell’alta Italia, della Svizzera, della Savoja, del Delfinato, dei Pirenei, del Giura, dei Vosgi ecc. Torino: Carlo Clausen, 1898.
  26. Adriano Fiori; Giulio Paoletti, Iconographia florae italicae, ossia flora italiana illustrata: con 4236 figure d’assieme e 12540 di analisi rappresentanti tutte le specie di piante vascolari indigene inselvatichite e largamente coltivate finora conosciute in Italia. Padova: Tipografia del seminario, 1895-1904.
  27. Adriano Fiori; Giulio Paoletti, Flora analitica d’Italia, ossia descrizione delle piante vascolari indigene inselvatichite e largamente coltivate in Italia disposte per quadri analitici. Padova: Tipografia del Seminario, 1896-1908. L’opera, continuata negli ultimi anni da Adriano Fiori e da Augusto Béguinot veniva comparata a quella coeva dei francesi Claude Casimir Gillet e Jean Henri Magne, quella Nouvelle flore francaise, che sarebbe stata usata soprattutto per gli usi delle piante spontanee in medicina e in veterinaria.
  28. Nel 1871 Agostino Reali aveva pubblicato per i tipi della Tipografia Borgarelli Gli alberi e arbusti del circondario e dell’Appennino camerte: memoria sulla loro utilità e sui loro pregi in rapporto alla industria, al commercio, alle arti ed al miglioramento del patrio suolo, dando così inizio allo studio analitico delle foreste umbro-marchigiane e lasciando ai futuri botanici un quadro molto preciso dello stato naturale del territorio, destinato presto a cambiare per l’evoluzione tecnologica dell’agricoltura e per le migrazioni interne della popolazione, ma soprattutto perché dopo l’Unità d’Italia i boschi marchigiani sarebbero stati sottoposti a un intenso sfruttamento per la costruzione di ferrovie e altri mezzi di trasporto.
  29. Regio decreto 30 novembre 1924, n. 2259: Riconoscimento dell’Università di Camerino quale Università libera e approvazione del relativo statuto (pubblicato nella «Gazzetta ufficiale» del 23 gennaio 1925, n. 18).
  30. Primo Levi, Il sistema periodico. Torino, Einaudi, 1975, p. 183.

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