Palazzo Bruschetti-Castelli

  Il palazzo, sede della Biblioteca di Scienze ambientali (ex Botanica) indicato come "Bruschetti­-Castelli" dalle famiglie a cui era appartenuto prima dell'Università, appare un edificio aggiunto al tempio e al convento della SS. Annunziata, notoriamente portati a termine agli inizi del Cinquecento dai da Varano e da loro affidati ai Padri fiesolani.
Nel 1675 Clemente X, sul soglio di Pietro dopo quarant'anni di episcopato a Camerino, e il cardinale Fransoni, allora vescovo diocesano, concedevano il complesso ai Padri Somaschi, assecondando così l'iniziativa generosa dei fratelli Manieri di creare nel Borgo una scuola, destinata agli adolescenti, che oggi qualificheremmo di ordine medio.
Il palazzo ulteriormente aggiunto, con al piano nobile i quattro vasti ambienti disimpegnati da una galleria, fu eretto credibilmente per ospitare le "scuole" di Grammatica, Umanità, Retorica e Filosofia che i Somaschi, debitamente remunerati,erano tenuti a gestire con propri docenti.
Nel gennaio 1861, l'Università di Camerino, a seguito dell'annessione delle Marche al Regno sabaudo, per decreto
reale è dichiarata libera e autorizzata a funzionare con proprie risorse. Tra i beni immobili che debbono garantire le rendite compaiono anche gli edifici contigui al tempio dell'Annunziata, officiato in sostituzione della collegiata di San Venanzio la cui ricostruzione non era stata ancora condotta a te
rmine dopo il terremoto del 1799.
Una cattiva gestione dei beni universitari da parte degli organi comunali impone nel 1875 la
nomina di una "deputazione" che, presieduta dall'arch. Luigi Cleomene Petrini, risana i bilanci.
Tra i "deputat
i" compare un Bruschetti che, in successive sedute, segnala l'interesse suo personale all'acquisto degli edifici annessi all'Annunziata. Il possesso dell’edificio da parte di Vincenzo Bruschetti, almeno dagli anni '80 dell'Ottocento, dimostra come le sue sollecitazioni furono accolte. Il palazzo venne probabilmente acquistato da Vincenzo Bruschetti in occasione del suo primo matrimonio con Rachele Carroccio.
Sicuramente notevoli, seppur non strutturali, gli interventi migliorativi disposti dal Bruschetti
: una foto anteriore a questi interventi, mostrava il fronte principale del palazzo ancora disadorno, privo cioè all’esterno dell'alta zoccolatura poi realizzata con bugne lisce in cotto, privo delle paraste e, soprattutto privo delle eleganti cornici alle finestre.
Va ricordato che rifiniture in mattoni ricorrono
a Camerino sui fronti di palazzo Bernardi in via Lili, sul fronte del municipio in corso Vittorio Emanuele, sui fronti di palazzo Foschi-Battibocca in via Roma.
La soluzione
, da quel che suggerisce anche il
prospetto del palazzo comunale, curato dall'ingegnere comunale Giambattista Salvi intorno al 1890, fu adottata, per gli edifici segnalati, sullo scorcio del secolo diciannovesimo.
Da escludere come ristrutturatore del palazzo Bruschetti-Castelli il Salvi, ingegnere non brillante per gusto estetico, come possibile artefice del rinnovamento potrebbe ipotizzarsi Cesare Bruschetti, fratello di Vincenzo, avvocato, membro del Parlamento italiano, ma soprattutto uomo con una forte passione per l'architettura, dimostrata con l’elaborazione di un complesso progetto per un monumento da dedicare a Vittorio Emanuele II, o, più credibilmente, Luigi Cleomene Petrini (1831-1896), l'unico dei tre progettisti camerti del tempo in grado d'operare con gusto e apprezzabile autonomia rispetto alle mode allora vigenti. Come possibile decoratore delle sale, potrebbe ipotizzarsi, se non proprio come esecutore, almeno come fornitore dei disegni, il camerte Tito Buccolini (1838-1896), ritrattista e quadraturista conteso fra Umbria e Marche.

A Vincenzo Bruschetti, si deve la notizia che a Rocca d'Ajello, acquistata e restaurata da suo padre Saverio negli anni '60 dell'Ottocento, della quale, alla di lui morte, aveva assunto la titolarità nel 1875, erano custoditi gli stemmi della famiglia, oggi assenti a Palazzo Bruschetti. L'antico scudo araldico sopravvive in una delle sale di Palazzo Bruschetti, sede della Biblioteca. Lo stesso stemma, scolpito nel marmo, compare nell'atrio di Palazzo Leopardi a Recanati, dove giunse insieme alla sorella più piccola di Vincenzo, Sofia, andata in sposa al conte Giacomo Leopardi junior nel 1868.
Vincenzo tenta di emulare il fratello Cesare, di cui voleva ripercorrere le tappe della fortunata carriera politica, senza riuscire però nell'impresa di farsi eleggere deputato. Membro della congregazione di carità, della commissione "pei pubblici spettacoli" e del consiglio direttivo della Cassa di Risparmio di Camerino, oltre che vice presidente della Società Operaia della provincia di Macerata, Vincenzo è protagonista di un'intensa vita di società, alla continua ricerca di contatti e relazioni interpersonali di prestigio. In questa direzione vanno non solo le feste e i banchetti tenuti nel palazzo in via Pontoni, attuale sede dell'ex Istituto di Botanica dell'Università di Camerino, ma soprattutto le frequenti pubblicazioni, anche autobiografiche, che ne costellarono l'esistenza, tanto di propria che di altrui mano.
Il 29 aprile 1878 Vincenzo Bruschetti sposa, a Bologna, la contessa Rachele Caroccio, l’incontro tra i due giovani era avvenuto a Senigallia dove Rachele trascorreva le vacanze estive, ma nel giro di pochi anni il giovane conte perde alcune delle persone che gli erano più care, dapprima, il 6 maggio 1877, muore la sorella Guendalina, l’anno successivo si spegne il fratello Cesare a causa di una tisi polmonare e nel 1879, perde anche la giovane moglie, che muore dopo aver dato alla luce la figlia Rachele.

Nel 1887 si risposa con la livornese Carolina Palanca, spesso indicata con il diminutivo di Lina. Nei fatti che portarono alle alienazioni di Rocca d'Ajello e del palazzo cittadino, come pure alle accuse di incendio doloso di quest'ultimo, Lina sostiene e affianca il marito cui, ha dato un figlio maschio. In seguito, però, i due si allontanano definitivamente: risale infatti al 1° marzo 1901 la ratifica dell'atto che li dichiara separati "per mutuo consenso".
Un grosso debito, dovuto all'acquisto fallimentare di uno stabilimento destinato alla produzione della seta, è alla base della vendita forzata di entrambe le proprietà. L’acquirente è Ortensio Vitalini, una vecchia conoscenza della famiglia Bruschetti, infatti è il medesimo imprenditore che aveva coinvolto Vincenzo nel disastroso investimento della filanda ascolana. Il castello, i 14 fondi circostanti, il palazzo di Camerino, il fondo con casino a Castelraimondo, tutto diventa proprietà del Cav. Ortensio Vitalini per la modestissima cifra di L. 170.000. Il conte Bruschetti è indignato, dopo aver profuso ingentissime somme per portare a termine i restauri della Rocca, si vede costretto ad implorare Vitalini per la restituzione dei mobili ed altri oggetti, alcuni dei quali di valore, altri costituenti ricordi
     di famiglia. Nelle fiamme che divampano a Palazzo Bruschetti nella notte tra il 1° e il 2 aprile 1889 vanno in fumo centinaia di volumi della preziosissima biblioteca di famiglia, coperta da ben due polizze assicurative, tra cui una rarissima edizione dell’Ariosto del 1514 e una Genealogia deorum del Boccaccio, edizione francese assai pregevole del 1498.
I rappresentanti delle due compagnie assicurative, Union e Fondiaria, dopo alcune inoffensive indagini preliminari, accusano Vincenzo e Lina di incendio doloso. Un impellente bisogno di liquidità viene indicato come movente della truffa, e in particolare la rovina della filanda che sembra aver causato al conte un debito di 100.000 lire.
Una prima ordinanza di non luogo procedere (luglio 1889) non ferma l’ispettore della Union che, avendo scoperto l'esistenza di alcuni libri nascosti, ne ordina il sequestro da parte dell'autorità giudiziaria. L'avvocato difensore dimostra la legittimità di tale possesso da parte di Vincenzo (si trattava, per lo più di acquisti successivi all’incendio riconducibili al desiderio del conte “di rifar la biblioteca perduta”) e presa in considerazione e analizzata la dinamica dei fatti con il supporto di prove inconfutabili, riesce a far cadere l’imputazione a carico di Lina.
“Giustizia finalmente fu fatta, l’innocenza finalmente per due volte trionfò e nelle Assise e nella Cassazione", afferma Vincenzo nel 1894, attribuendo "all'infame accusa'' subita non solo "due anni di strazi, di dolori e di carcere", ma anche "la disgrazia e la rovina della mia casa in Camerino''.
Stabilitosi a Pesaro e trascorsi dieci anni dagli eventi che lo avevano spinto a lasciare definitivamente la città che gli aveva dato nobili natali, non può ancora evitarne l'amaro ricordo: "In seguito ad un'accusa iniqua, della quale fui assolto fra gli applausi del popolo, dovetti rimanere arrestato qualche tempo".
Nella pubblicazione Un matrimonio e un patrimonio Vincenzo consegna al giudizio popolare la denuncia delle "indegne trame che si ordivano a detrimento della [propria] paterna autorità''. I contrasti con la famiglia Caroccio erano iniziati proprio ai tempi dei suoi guai giudiziari, quando i parenti della prima moglie ottengono di escluderlo da ogni diritto sul patrimonio ereditato dalla figlia Rachele, che nel 1899 è in procinto di sposarsi.
Davanti alla Corte d'Appello di Bologna Vincenzo, interpellato per il necessario consenso, esprime le sue numerose perplessità a proposito del promesso sposo: "Il Sig. Armandi è di Massa, un paese della bassa Romagna; in quei dintorni dicono sianvi i beni della sua famiglia, ma, del loro valore, vario è l'apprezzamento, sebbene sia comune la voce che non ammontino a gran cosa; egli ha circa 37 anni (e non 28), il doppio di mia figlia; vive da elegante, gode in genere buon nome; ha la laurea d'ingegnere [... ],conte chi dice che lo è, e chi no. Io voglio credere che lo sia suo padre, ma egli, come secondogenito, questo titolo non potrebbe assolutamente portare. Armando Armandi non sarebbe, dunque, partito all’altezza della “mezzo milionaria” contessina Bruschetti per lignaggio e patrimonio. Al Tribunale Vincenzo chiede di poter esaminare la minuta del contratto di matrimonio, il certificato d’iscrizione degli Armandi presso la Consulta Araldica e la verifica dei beni e del reddito annuale dichiarati dal pretendente. Chiede anche di rivedere la figlia Rachele, stimandosi “padre indegno anche dell’altro suo figlio”, qualora non le parlasse.
L’ultimo degli scritti autografi rinvenuto, conferma che agli inizi del Novecento, nessuna delle prestigiose proprietà che la famiglia Bruschetti possedeva a Camerino, era ancora intitolata a suo nome. Infatti, prima del Novecento gli edifici già annessi al tempio dell'Annunziata erano stati acquistati ad un'asta giudiziaria da Tito Castelli, un distinto avvocato dotato di molte risorse economiche.. che aveva sposato Duilia Gionchetti, sorella di Maria, eccezionale medium collaboratrice del prof. Giuseppe Stoppoloni, e dalla coppia nasceranno poi le due figlie Lellè e Coletta.
Negli anni '20 un tentativo di industrializzazione di Camerino, compiuto col varo d'un calzaturificio e d'una fabbrica di giocattoli per dar lavoro a molti disoccupati locali, travolge le famiglie facoltose di Camerino che hanno garantito col proprio patrimonio i finanziamenti concessi dalle banche. L'avv. Tito Castelli, nel volgere d'un mattino scopre d'aver perso tutte le terre e tutti i risparmi: riesce a salvare solo i due palazzetti prossimi all'Annunziata, ma quello di residenza della famiglia, all'inizio degli anni '30, è assegnato in dote alla figlia Lellè. Da questa, coniugata Massazza, nasce nel 1934 Manfredi, adorato dal piccolo nucleo parentale e accolto come auspicio di ripresa. La sorte, invece, ha in serbo per il bimbo un arduo destino: nel novembre 1951 Manfredi adolescente, insieme alla mamma, è costretto a raggiungere il padre in esilio in Argentina per non aver questi rifiutato da ufficiale la collaborazione con la Repubblica sociale. Morirà sessantenne nella remota terra australe col pensiero fisso a Camerino e all'Italia. Verso la fine degli anni '60 alienato già nel 1951 il palazzetto ex convento per consentire a madre e figlio il trasferimento in America e dotarli di un po' di denaro, l'avv. Castelli muore, dopo poco scompare anche la consorte e l'appartamento ex scuola è abitato solo dalla nubile Coletta Castelli, che vive con l’esigua rendita costituita dal canone  bloccato corrisposto dall'inquilino del secondo piano.
Il generale Massazza, pienamente riabilitato e stabilitosi a Genova, decide di vendere il palazzo assegnato in dote alla consorte e di trasferire alla cognata Coletta il modesto ricavato, a causa della stima sfavorevole dell’edificio fatta dall'Erario e per il pagamento eseguito dall'Università con ritardo e in soluzioni differite. A chi le suggeriva un'interruzione della trattativa iugulatoria o una risoluzione del contratto, Coletta Castelli replicava che scelta di diverso acquirente era a lei negata dalle indicazioni trasmesse dal padre, il quale, a conoscenza della provenienza del palazzetto, aveva sempre raccomandato un ritorno dello stesso nel patrimonio dell'Università.

Bibliografia

Cesetti E., 2016 - Un tranquillo patriota di provincia: l'appartamento 'all'ultimo gusto' del conte Saverio Bruschetti di Camerino. Ancona, Affinità elettive.
Falaschi P. L., 2021 - Palazzo Bruschetti-Castelli, le mura, le famiglie, le istituzioni. Orizzonti della Marca, 25 settembre 2021: 3.